Molti borissiani lo hanno apprezzato, altri stroncato. Secondo me è un capolavoro, che però non urla il suo valore: devi guardarlo e riguardarlo, per capirlo. Provo a spiegarvelo in 12 punti apostolici.
“Non è all’altezza dei precedenti”, han detto quasi tutti i borissiani dopo aver visto Boris 4, la serie uscita proprio un anno fa dopo dieci anni dall’ultima apparizione. Chi scrive è un ipercritico, che considera inguardabili anche le seconde serie, i sequel, gli spin off o come cacchio si dice oggi, maltrattando la lingua italiana.
Boris no. Boris 4 non maltratta la lingua e se ne frega se gli altri falliscono. Lui riesce. È meno magico dei precedenti, senza dubbio, ma non poteva essere altrimenti. Eppure tiene. Vola. Colpisce e stupisce. Non solo piace ma va rivisto, almeno due volte l’anno. Perché ha tante meraviglie, alcune perfino superiori alle prime stagioni.
Boris 4 sfrutta la vecchiaia rendendola un valore. Non ringiovanisce i protagonisti, ma rivaluta i personaggi minori del passato. Gioca di fino. Insomma, non è solo bellissimo; per almeno 12 apostoliche ragioni, è un capolavoro. Ne condividete qualcuna? Ve le elenco in ordine inverso. Buona lettura.
12. La Cana maledetta. Lo sapevamo tutti che Carolina Crescentini è una grande attrice. Fare Corinna, la cagna maledetta, non è semplice. Ma riuscire, quindici anni dopo il primo Boris, a dar vita a una Corinna rivoluzionaria, ovvero brava, erotica e poetica, è una magia. L’avete vista bene quando fa Maria, con le luci giuste e tutto il resto? È perfetta. Di più: eccitante. Ma quale Ferilli. Qui siamo ai livelli della Kidman e non scherzo neanche un po’. E comunque quindici anni dal primo Boris sono passati anche per noi, imbolsiti proprio come il vecchio Renè.
11. L’ultima risata con Andrea. Rivedere Andrea Purgatori, nel ruolo impeccabile dell’avvocato, è forse il miglior omaggio, peraltro involontario, che si poteva fare al grande giornalista romano da poco scomparso. Perché Purgatori – lo dico per i tre lettori che non lo sanno – è stato sì un giornalista, ma anche un autore/attore satirico: nel 2001 aveva firmato, assieme a Corrado Guzzanti, “Il caso Scafroglia”, programma che, per chi scrive, è stata una delle tre cose migliori viste in tv negli ultimi vent’anni. L’altra ovviamente è Boris. E la terza… la sto ancora aspettando. Fatemi proseguire o mi commuovo già ora.
10. Il ritorno di Fabiana. La figlia di René, apparsa nella terza stagione e interpretata da Angelica Leo, era stata così brava che cinque o sei anni fa l’avevo coinvolta in un corso di comunicazione. Titolo: “Parlare come Boris”. Avevo studiato le logiche con cui prendono vita le bellissime voci di tutti i personaggi per applicarli alla vita di ogni giorno. Chi meglio di lei per accompagnarmi in questo corso?
Giusto per capire come funziona l’Italia, non solo ho avuto zero iscritti, ma nemmeno una telefonata, un’email, un messaggio per chiedere informazioni. Che Paese, come dice René. A ogni modo: Angelica era stata perfetta come personaggio e strepitosa nella recitazione, a cominciare da quell’epico “È una grandissima puttanata!” con cui zittisce Diego Lopez. Rivederla in Boris 4, in un ambiente che la omaggia (accoglie papà René nella sua casa in montagna: scelta non casuale essendo lei bellunese) fa certamente piacere ai borissiani maniaci, quelli che sanno a memoria tutte le battute. Bello anche il fatto che appaia così poco: una scelta precisa giacché… i pipponi devono durare due minuti, due minuti e mezzo al massimo. Chiaro?
9. Ma dai, Ada Canestri! Ancor più sorprendente rivedere Ada (Cecilia Dazzi). Perché tutti la ricordiamo nella prima stagione, quando si mette in luce per essere una delle poche attrici capaci di comportarsi da persona umana nel set. Nella quarta stagione appare in un ruolo intelligente nel quale… non fa la parte di una persona molto intelligente. Boris percula sempre e comunque, ricordiamocelo.
8. Alessandro e René, mai così chiaroscuri. Troppo bravi nelle prime stagioni e nel film, Alessandro e René recitano nella quarta serie senza mai conquistare un ruolo da protagonisti. Bravi, autori. Alessandro è diventato “quello che ha fatto carriera”, ma tiene botta alla grande. E ti domandi perché, fuori da Boris, non riesca a fare faville. Lo stesso discorso vale per René: ingrigito, incupito e appesantito, ma capace di dare sempre il massimo, soprattutto nelle scene più singolari. Ottimo, giusto per citarne una, mentre litiga con Stanis in versione antico romano.
7. La fotografia. Ma quella vera. Capirò poco di cinema, ma le immagini, le inquadrature, la fotografia di questo Boris per me tengono testa alle grandi produzioni americane. Sono una festa per gli occhi. Se non ce ne accorgiamo a prima vista è perché siamo troppo impegnati a seguire battute e finezze verbo-gestuali una dopo l’altra. Guardatelo e riguardatelo: dagli interni agli esterni (su tutte, la scena del giovanissimo Giuda che lancia sassi a bordo lago), potete perdervi nel bello. E che dire della casa degli sceneggiatori? Non se n’è accorto quasi nessuno: d’altra parte viviamo in un mondo che considera un capolavoro Breaking bad, facciamocene una ragione.
6. Alla fiera delle armi con Guzzanti. Magnifici i testi cuciti addosso all’ingrassato e appesantito Corrado. In parte suoi, con ogni probabilità. Si passa dalle battute classiche (il padre, ancora vivo, che non vuol farsi cremare a Viterbo) a colpi di genio come “l’ipocrisia della sicura” nelle pistole. È così bravo Corrado, in questa versione da Depardieu all’italiana, che quasi quasi mi compro un teaser anch’io, per dare una scossa scherzosa agli amici.
5. La sorpresa San Pietro. Come lasciare di sasso un borissiano da record, che ha visto le puntate almeno cinque volte cadauna. Alzi la mano chi aveva riconosciuto il tristissimo ragazzone ciclista mancato/drogatello (prima serie) nella comparsa che interpreta San Pietro. Io non ci sono riuscito. Perciò due volte bravi a tutti: è stata una vera stretta al cuore. Grazie agli autori, che l’hanno voluto solo per noi. Sempre sia lodata la loro follia e sacrosanto sia il disprezzo per chi ha osato affrontare questa quarta serie senza aver visto le precedenti. Un quarto d’ora di silenziosisissimi applausi.
4. Le facce nuove: Edoardo Pesce über alles. Non era facile indossare il volto di Tatti Barletta, mai visto in nessuna puntata ma sempre citato, nella serie e tra gli appassionati. Un mito, tipo Kaiser Söze. Edoardo non lo fa bene: lo fa da dio. Meglio ancora: lo fa da Favino. Credibilità impeccabile, ma soprattutto perfettamente calata nell’atmosfera Boris. Applausi ancor più scrosciantemente silenziosi.
Dico di più: Edoardo Pesce è talmente bravo e credibile che vorrei vederlo davvero, il film su Giuda firmato Ferretti. Anche per capire se Edoardo è proprio lui o Gifuni che interpreta Favino che interpreta Pesce che interpreta Giuda. Vallo a capire, se ci riesci.
3. Il ruolo di Alfredo, finalmente primattore. Nelle tre stagioni di Boris, senza dimenticare il film, Alfredo (Luca Amorosino) non ha mai avuto piena luce. Eppure qualcosa di ottimo si era intuito nella puntata “Buon Natale”, quando René sta male e cede la regia proprio ad Alfredo. Il nostro, in gran segreto, cerca di far recitare bene gli attori: è talmente bravo, in quel frangente, che da spettatore confondi realtà e recitazione in quel meraviglioso gioco di verità/finzione che è poi il punto forte di Boris.
Era ora che Alfredo prendesse spazio: bravissimo, per niente invecchiato e iper-credibile, dalla voce all’espressività fisica. Merita (per me) il podio e guai a chi me lo tocca.
2. Ed eccoci all’epico ritorno di Furio (Raffaele Buranelli), l’operatore cacciato dopo una sola puntata nella prima serie. Rivederlo mi ha quasi fatto piangere, giuro. Disegnato in modo magistrale nella prima e unica apparizione di quel lontano 2011 – odioso, antipatico, aggressivo – torna in Boris 4 e come Alfredo diventa protagonista con tutti i suoi nuovi tic. Ottimi i suoi duetti con Tatti/Pesce. Ci farei uno spin off, se sapessi che cacchio vuol dire.
1. A proposito di piangere: belli e dolcissimi gli omaggi a Mattia Torre e Roberta Fiorentini, scomparsi prima della messa in onda. Mattia è sempre presente: dal posto in platea a lui riservato in occasione della Prima cinematografica di René, fino agli interventi in stile Ghost del bravo Valerio Aprea. Mattia è continuamente presente, invisibile ma abbracciabile, senza un filo di manierismo e con un eccellente finto distacco che di certo avrebbe apprezzato.
A un certo punto gli chiedono: “Com’è l’inferno, collega?” E lui: “Non male. È pieno di quarte stagioni”.
Insomma, grazie di cuore a Boris, ai suoi autori e attori, grazie per avermi stupito, divertito e commosso un’altra volta ancora.