Resoconto della serata con Patrizia Laquidara, Officina del Talento (Unisef Treviso, 3 dicembre 2014)
(Attenzione: pezzo ormai d’epoca (2015): ma vale ancora la pena. Anche per ripassare quel che serve per arrivare a grandi risultati nella vita)
Dopo le prime due serate dell’Officina del talento giungo a una conclusione: è meglio avere pochissimo talento ma lavorare per farlo fruttare piuttosto che averne molto ma ignorare le logiche per metterlo in luce.
Chiedo scusa a romantici e puristi ma la realtà è questa: potete essere dei magnifici artisti, commercianti, condottieri ma dovete mettervi in testa che sta a voi farlo capire al mondo. Il vostro talento, da solo, non vi porta da nessuna parte. In novantanove casi su cento il mondo non lo capirà, a partire dalle persone che vi stanno più vicino.
Ne ho avuto l’ennesima prova lo scorso 3 dicembre, quando ho condotto la seconda serata dell’Officina del talento, con protagonista Patrizia Laquidara. Patrizia è da anni una delle mie voci preferite: canta da dio, scrive testi che parlano al corpo e all’anima, sa muoversi sul palco, comunica, scalda il cuore. Insomma, ha talento da vendere. Ma per farlo capire al mondo ha dovuto superare sé stessa.
Patrizia ha dovuto inventarsi una strada tutta sua per essere finalmente riconosciuta. È infatti un’artista che non ha mai accettato i classici compromessi del mondo della musica: non ha mai cantato una canzone che non sentisse sua, giusto per dire la più importante. Ma è andata oltre, rifiutandosi di seguire le classiche logiche dei musicisti che vogliono sfondare: 1) concentrarsi su brani sempre orecchiabili, commerciali e in linea con i gusti del periodo; 2) farsi conoscere con mille presenze nei media, a partire dai programmi tivù.
Patrizia è diventata Patrizia lavorando come voleva lei: affinando la voce in modo impeccabile e soprattutto concentrando i suoi sforzi su un repertorio alternativo, spesso improponibile nei media tradizionali. Infine se l’è cavata senza accettare quasi nessun consiglio. Insomma, un talento da studiare.
Il suo segreto è questo: fare di testa propria ma con una convinzione fuori dal comune, ostinata e spesso contraria. Ma nello stesso tempo ha seguito i (cinque) punti chiave che permettono a chiunque di arrivare agli obiettivi più importanti. Come spesso succede, lo ha fatto senza nemmeno saperlo.
I punti chiave sono a volte banali, a volte insospettabili. Non sono nemmeno garantiti e universali. Ma sono stati studiati e ordinati dai tanti che, nei secoli, hanno lavorato per mettere nero su bianco le cause di successi e insuccessi umani.
Il pubblico della serata trevigiana è stato colpito soprattutto da una delle tante esperienze raccontate da Patrizia. “Un mio amico inviò una mia cassetta alle selezioni di Sanremo giovani. Una sorpresa, perché non mi sarei mai sognata di farlo. Mi ritrovai, dall’oggi al domani, tra le finaliste: sul treno per Roma decisi che avrei cantato“Cuccurucu Paloma”, un brano celebre che reinterpretavo in una mia versione per sola voce.”
“I responsabili del concorso accolsero la mia idea con due occhi così: Un brano senza nemmeno uno strumento non è mai stato fatto e mai si farà, dissero. M’impuntai: o così o niente, risposi. Avevo tutti contro ed ero pronta a fare dietro front per tornare a casa. Si alzò Pippo Baudo, che era il direttore creativo del concorso. Disse: Fammi sentire come la canti. Ascoltò, guardò gli altri e disse: Visto che è così convinta, fatelo fare come dice lei. Lo interpretai da sola e vinsi”.
La morale è molto semplice: se siete convinti di un’idea, di un progetto, di un sogno, è normale che non troverete incoraggiamenti e aiuti. Ma un Pippo Baudo (ce ne sono tanti, anche in mezzo a noi) c’è sempre, quando dimostrate la giusta convinzione.
Matteo Rinaldi
